Cosa accadrà adesso? É la domanda che più riecheggia, incentivata da molti timori riecheggiati e rimbalzati sui media circa le prospettive future del post Draghi. Si parla di “giornata storica”, di “momento delicato”. Quanto accaduto nelle scorse ore, con le dimissioni dell’ex governatore della Bce dalla carica di presidente del consiglio, è invece quanto di più “normale” possa esserci nella vita politica di una democrazia parlamentare.
É caduto un governo, come tanti ne sono caduti nel corso della storia repubblicana. E adesso o si fa un altro esecutivo oppure, così come filtrato dai “palazzi”, si andrà al voto. Esattamente come accaduto tante altre volte, esattamente come accade ogni anno nei Paesi aventi un sistema politico simile al nostro.
Del resto il governo Draghi è durato più del previsto. Quando è nato, nel febbrai 2021, non doveva rimanere in carica per nemmeno un anno. Il presidente del consiglio doveva infatti andare, almeno in alcuni dei retroscena trapelati negli ultimi mesi, al Quirinale. Operazione che Draghi non ha mai negato, come dimostra la sua conferenza stampa natalizia dove ha parlato di sé stesso come del “nonno d’Italia”, di un “nonno al servizio delle istituzioni”.
Poi il piano è fallito: i deputati si sono resi conto che, cadendo il governo Draghi, non ci sarebbe stato spazio per l’ultimo anno di legislatura. E così hanno rivotato per la seconda volta Sergio Mattarella. Non solo, ma l’esecutivo Draghi per sua natura non poteva durare a lungo. Era un governo di “scopo”, di unità nazionale (o quasi), nato per affrontare specifiche emergenze. Chiaro poi che la politica si sarebbe riappropriata dei suoi spazi.
Finita l’esperienza Draghi, ne inizierà un’altra. Saranno gli elettori a decidere, sarà con il ricorso alle urne che si capirà il nuovo orientamento del Paese. Un orientamento che, tra le altre cose, non può essere esprimibile o rintracciabile dalle lettere dei sindaci o delle associazioni che hanno chiesto all’oramai ex capo dell’esecutivo di rimanere a galla. “Gli spazi che competono alla politica in una democrazia – ha scritto sulla propria pagina Facebook l’ambasciatore Carlo Marsili – non sono le pressioni di certe piazze e consorterie o le lettere di certi Sindaci o gli appelli di certi intellettuali, ma una doverosa chiamata alle urne e il voto popolare. Del resto, solo interessate e barbose Cassandre possono definire una catastrofe elezioni anticipate di pochi mesi”.
Oggi, in poche parole, non è successo un bel niente. É caduto il governo n.67 dei 76 anni di Repubblica italiana. Un evento tanto normale quanto ordinario.