Paese che a breve, nel giro di qualche decennio, potrebbe arrivare anche ad avere oltre trecento milioni di abitanti. Lo conosciamo in Europa per le spiagge di Bali, per le bellezze naturali, ma anche per lo tsunami del 2004 che ha causato qui devastazioni più che altrove. L’Indonesia oggi si sta candidando a un ruolo importante in ambito internazionale.
Da anni viene indicata come potenza nascente, sia a livello economico che politico. Oggi “sta arrivando” sul serio. E il suo presidente, Joko Widodo, tra mercoledì e giovedì è volato tra Kiev e Mosca, incontrando sia Zelensky che Putin. Da cosa deriva l’avanzata dell’Indonesia nel contesto internazionale?
Nel breve periodo, il governo di Jakarta (una capitale che resterà tale ancora per poco) potrà sfruttare la possibilità di organizzare il G20. Dopo il G7, si tratta della seconda riunione internazionale più importante tra i capi di Stato e di governo di tutto il mondo. Il Paese organizzatore è quello che formalmente invia gli inviti. Widodo quindi si è ritrovato nel bel mezzo di un dilemma: invitare o non invitare Vladimir Putin?
Un dilemma non da poco, perché da un lato c’era la pressione di Mosca la quale non vede ragioni per non inviare i propri rappresentanti in Indonesia a novembre. Dall’altra quella di Washington, preoccupata che il G20 possa offrire a Putin un’inaspettata vetrina internazionale. Alla fine Widodo ha deciso di giocare tutte le sue carte. Inviando l’invito anche al Cremlino e, contestualmente, volando a Kiev da cui ha raccolto dal presidente ucraino Zelensky un messaggio da rivolgere direttamente a Putin. O almeno così ha dichiarato ieri una volta giunto a Mosca, circostanza poi smentita in realtà da Kiev.
Ad ogni modo però, Widodo ha sfruttato l’occasione del G20 per ergersi a messaggero di pace e a un ruolo di mediatore su cui in pochi avevano scommesso. Del resto, fa strano vedere il capo dello Stato indonesiano interessarsi in prima persona a un conflitto lontano migliaia di chilometri dal suo Paese e dalla sua sfera di influenza.
Nel lungo periodo, l’Indonesia ha molte carte su cui sta puntando. Non è una delle “tigri asiatiche” conosciute negli anni 2000, nonostante una comunque importante crescita economica. Ma ha una popolazione sempre più numerosa, una forza lavoro quindi importante e un mercato in grado di attrarre numerosi investimenti. La sua posizione poi è strategica: il Paese, adagiato su un arcipelago che ne fa lo Stato insulare più grande al mondo (anche più del Giappone), si trova in una zona importante per gli equilibri internazionali futuri, praticamente a cavallo tra l’area dove Cina e Stati Uniti si contendono il controllo dell’Oceano Indiano e del Pacifico.
L’Indonesia è poi il Paese con il maggior numero di abitanti musulmani. L’87% della popolazione, attualmente composta da 275milioni di individui, professa l’Islam e questo ha conferito a Jakarta un importante ruolo politico. Anche perché l’Islam da queste parti raramente ha partorito settori estremisti. La società è legata alla religione musulmana e la vede come uno degli elementi unificanti di una nazione composta da oltre 400 etnie. Ma, al tempo stesso, non è la sola caratteristica dell’identità indonesiana, attaccata anche ad elementi pre islamici, alla cultura austronesiana di cui è depositaria e a un’eredità della lotta contro i coloni olandesi fatta più in nome della nazione che in nome della fede musulmana. Un esempio è dato dalla lingua: il bahasa indonesiano, idioma franco pur se non il più diffuso, è scritto in caratteri latini e non arabi.
Certamente l’arcipelago ha anche molti problemi. Non sono mancati negli anni (e non mancano nemmeno adesso) conflitti tra le varie etnie che compongono il territorio. La guerriglia ad Aceh, sull’isola di Sumatra, o la guerra di indipendenza di Timor Est (entrambe terminate tra gli anni 90 e i 2000) lo dimostrano. Inoltre l’Indonesia è spesso soggetta a gravi fenomeni di calamità naturali e convive con un territorio molto fragile.
La stessa capitale Jakarta si sta “inabissando”: il suo territorio si abbassa anno dopo anno di quasi 15 cm, schiacciato dal peso di una metropoli cresciuta a dismisura negli ultimi anni su terreni argillosi. E così il governo sta pensando di trasferirsi nell’isola del Borneo, attuando un’operazione già vista con Brasilia e Islamabad: la costruzione cioè di una nuova capitale. Si dovrebbe chiamare Nusantara e dovrebbe essere attiva entro il 2025.
Ad ogni modo, tra potenzialità e atavici problemi, l’Indonesia sta per diventare un importante attore asiatico. Non più rinomato solo per le spiagge, ma da ora in avanti sempre più inserito nei contesti internazionali più intricati.