Quando finirà il Covid? Per due interi anni è stata questa la domanda che più ci siamo tutti posti. Capire cioè quando lo spettro dell’emergenza avrebbe lasciato spazio al definitivo ritorno alla normalità. Le risposte, nell’arco di questi terribili 24 mesi, sono state le più disparate.
La più ovvia, a inizio pandemia, era legata alla fine della circolazione del virus: quando il bollettino avrebbe indicato la cifra zero nella casella dei nuovi contagiati, si poteva pensare alla fine dell’emergenza. Con il passare del tempo si è visto che così non poteva essere. Il virus si è diffuso un po’ ovunque e, soprattutto, ha dimostrato la sua capacità di mutare e di contagiare. Ma, al tempo stesso, ad ogni mutazione è corrisposta una diminuzione della letalità.
Dunque la risposta non poteva essere la più ovvia. Perché quella cifra zero non verrà mai raggiunta. Si è iniziato a parlare di Covid come virus endemico, come patologia simile a quella influenzale. Dunque si è capito che non era dal bollettino che poteva derivare la speranza, anzi il bollettino era parte del problema. Si era in emergenza perché quei dannati numeri venivano proposti e riproposti in modo continuo ogni santo giorno. E la gente non riusciva a togliersi dalle grinfie della paura.
L’emergenza, quindi, a un certo punto era il terrore e non la circolazione del virus in sé. Questo ha reso più complicato la ricerca di una risposta alla domanda di inizio pandemia. Non c’è un dato a cui far riferimento per mettere la parola fine all’emergenza, non c’è un protocollo in grado di far definire quando questa emergenza può dirsi conclusa. E allora, dove cercare la risposta?
La risposta, purtroppo, è arrivata dalla guerra. Il conflitto scoppiato giovedì in Ucraina ha annullato definitivamente ogni residua presenza di virologi e infettivologi. Il bollettino ai Tg non viene quasi più dato, sembra quindi che l’emergenza sia realmente finita. Eppure la situazione è la stessa di qualche giorno fa. Vero che la curva dei contagi sta scendendo, vero che i posti occupati dai pazienti Covid negli ospedali sono diminuiti, ma inviti alla prudenza e spettri di nuove varianti fino alla settimana scorsa tenevano ancora banco. Oggi è tutto sparito. Ma solo a livello mediatico. La guerra ha cancellato tutto. E non è una buona notizia. Ovviamente perché un conflitto è elemento ben peggiore di una pandemia. C’è una guerra nel cuore dell’Europa, Kiev, una città europea a due passi da noi, sta vivendo un assedio. Il conflitto ha portato maggior tristezza.
Ma soprattutto ha certificato un fatto: questa società, per vivere, ha bisogno di angoscia. Per dimenticare un fatto brutto è dovuto accadere un fatto ancora più brutto. E se, come ci si augura, la guerra domani finisce, il Covid tornerà magicamente a rappresentare un’emergenza. Ci siamo abituati un po’ tutti a vivere nell’emergenza. Siamo ormai un po’ tutti immersi nell’emergenza. E questa cosa, personalmente, mi fa paura. Più della guerra e del Covid.