Ci hanno nascosto Danilo Dolci

Maurizio Piscopo ci restituisce, nel suo libro, la figura del grande sociologo

di Salvatore Indelicato

Il decennio subito dopo la seconda Grande Guerra, è stato un periodo particolare, strano, di transizione, in cui l’Italia cercava di risollevarsi, di ricostruire dalle macerie ciò che la follia umana aveva cancellato.

C’era tanto lavoro da fare, oltre alle case, ai quartieri, c’era un tessuto sociale da ricucire per ridare dignità alla popolazione, alle famiglie, molte delle quali vivevano in condizioni di assoluta indigenza e povertà.

Mancava di tutto, dall’assistenza sanitaria, al pane quotidiano, all’istruzione. Nonostante ciò, l’Italia dimostrava di avere la forza, l’entusiasmo e l’orgoglio di ricominciare, di ripartire e gettare le fondamenta per ritornare ad essere un Paese civile.

In Italia, perché nella nostra Sicilia ben poco era cambiato per quella atavica cultura di sottomissione al potere politico-mafioso che faceva dell’arroganza e della prepotenza il proprio dogma su una terra da sempre martoriata e sfruttata.

I poveri erano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, il lavoro era per pochi e mal pagato, l’ignoranza (che poi era l’arma preferita dai potenti) e l’analfabetismo imperversavano mantenendo la popolazione in uno stato di “ebetismo” indotto. In pochi sapevano a malapena leggere e scrivere; l’informazione era appannaggio di chi possedeva un prezioso apparecchio radio e gli intellettuali dell’epoca avevano scarso peso in seno all’opinione pubblica.

Rivoltarsi contro questo stato di cose, spesso significava perdere tutto, talvolta anche la vita. Un segno di svolta si ebbe nel 1952, quando Danilo Dolci, sociologo e maestro della nonviolenza è arrivato in Sicilia dalla lontana Sesana (oggi cittadina della Slovenia), si trovò a scontrarsi con la dura e penosa realtà di Trappeto e Partinico dove la gente moriva davvero di fame, il tessuto urbano sconvolto e lacerato, l’acqua rappresentava un bene non accessibile a tutti.

Dolci si immedesimò in questa triste situazione e capì immediatamente che bisognava rivoltarsi le maniche e affrontare un lavoro duro e pericoloso, non c’era tempo da perdere. Fautore della nonviolenza, le sue uniche armi furono il pensiero e la cultura che seppe usare egregiamente, riuscendo a coinvolgere contadini, braccianti, donne e bambini per reclamare i propri diritti. Più volte venne a scontrarsi con la legge che sembrava, piuttosto, essere contro il popolo inerme, incapace di sollevare la testa e chiedere ciò che gli spettava.

Danilo Dolci riuscì a sensibilizzare intellettuali come Vittorio Gassman, Carlo Levi, Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Alberto Moravia, Norberto Bobbio, Aldo Capitini e tanti altri che lo supportarono nella sua opera, scuotendo l’opinione pubblica su questi gravi problemi sociali. Fu il pioniere delle radio libere con la sua “Radio dei poveri Cristi”, che ebbe vita solamente per 27 ore ma che sancì l’inizio di una nuova era.

Su questa importante e basilare figura, un altro Maestro elementare, Giuseppe Maurizio Piscopo che, per certi versi, può essere benissimo accomunato al nostro sociologo, ha voluto dedicare un saggio in cui ne racconta la vita e i metodi.

Giuseppe Maurizio Piscopo, da poco anche giornalista pubblicista, per quaranta anni ha svolto l’attività di Maestro elementare applicando metodi e sistemi fuori dagli schemi tradizionali, portando i suoi alunni a vivere direttamente le esperienze, nelle librerie, nei teatri della città, a confronto con scrittori e intellettuali, più che studiarle sui libri di testo, spesso contraddittori e carenti. Oltre all’insegnamento, gli interessi di Piscopo c’è la musica (è un valente fisarmonicista) e la scrittura, con le quali è riuscito a sviluppare importanti temi socio-culturali. Fondatore del Gruppo Popolare Favarese, con Antonio Zarcone, ha cantato e suonato le tradizioni siciliane su tutte le piazze e teatri italiani, portandole anche all’estero. Tante sono le sue pubblicazioni che hanno avuto un grande successo (Musica dai saloni, Merica Merica, La maestra portava carbone, Il vecchio che rubava i bambini, Raccontare Sciascia, Vitti ‘na crozza. La storia dei fratelli Licausi, La vita è un alfabeto).

“Ci hanno nascosto Danilo Dolci”, la sua ultima opera, esplora temi di giustizia sociale, educazione e attivismo con una profondità rara. Dolci, come abbiamo anzidetto, noto per il suo impegno nel sud Italia, che intreccia storie di vita reale e riflessioni personali, è raccontato dal nostro Autore con la sua scrittura, ricca di passione e umanità, che non solo informa ma ispira, stimolando il lettore a riflettere sul ruolo dell’individuo nella società e sulla necessità di un rinnovamento positivo.

A spingere Giuseppe Maurizio Piscopo a scrivere questo testo dedicato al grande sociologo, è stato soprattutto il silenzio che circonda, ancora oggi, questa figura e il poco risalto datogli dalla stampa e anche dal mondo della scuola che, a detta di Piscopo, avrebbe tanto da attingere dai suoi insegnamenti.

Il libro è un’analisi completa e perfetta, dell’operato di Danilo Dolci, ottenuta tramite riscontri documentali e testimonianze dirette di chi lo ha conosciuto e operato con lui, come può evincersi dalle interviste pubblicate, oltre ad una precisa biografia e un inserto fotografico realizzato con gli scatti dei grandi fotografi quali Peppino Leone e Melo Minnella e le foto di archivio del centro di documentazione di Danilo Dolci, di Giuseppe Carta e di Leoluca Cascio, e le illustrazioni di Tiziana Viola Massa che impreziosiscono il volume.

La prefazione del libro è stata affidata al docente saggista e scrittore Salvatore Ferlita, mentre la postfazione è opera di Amico Dolci, figlio del sociologo, che ha collaborato alla realizzazione del volume. Una nota da segnalare è il brano Spine Sante omaggio a Danilo Dolci che è la colonna sonora del libro eseguito con due fisarmoniche, quella di Piscopo e quella di Pier Paolo Petta.

Danilo Dolci, un personaggio “scomodo” ma che bisogna riscoprire e valorizzare per il suo disinteressato impegno verso gli ultimi, per il quale fu definito “Il Gandhi italiano”.

Una lettura, per chiunque sia interessato a temi di giustizia sociale e comunitaria, della quale non si può farne a meno e di farla conoscere a tutti. Il libro ha suscitato grande interesse nel pubblico ed è considerato una delle più importanti pubblicazioni nell’anno del centenario del sociologo triestino.