Per almeno tre settimane migliaia di italiani hanno potuto vedere in Tv la Coppa d’Africa, la competizione calcistica del continente africano che non manca di richiamare appassionati del mondo del pallone. Questa volta, grazie ai diritti acquisiti dall’emittente Sportitalia, le partite sono state trasmesse in chiaro e gli ascolti hanno segnato veri e propri record.
Si è così aperta una finestra privilegiata su un continente tanto vicino quanto, almeno ai nostri occhi, misterioso. Le differenti coreografie sugli spalti, i diversi modi di celebrare un gol o una vittoria, le peculiarità delle varie scuole calcistiche, hanno offerto uno spaccato del variegato mondo africano. La Coppa dunque ha rappresentato un modo per l’Africa di farsi conoscere e, al tempo stesso, ha dato modo agli stessi africani di vedersi in modo diverso: festanti sugli spalti, uniti in campo, lontano dalle tante guerre locali e tribali che flagellano molti angoli del continente.
La Costa d’Avorio, Paese ospitante e nazionale vincitrice della Coppa, ha legittimato il suo ruolo di “tigre africana” dall’economia con due punti percentuali di crescita, sfoggiando stadi nuovi e infrastrutture all’avanguardia. Un riscatto per una nazione da sempre considerata come tra le più sviluppate e stabili del continente ma caduta, agli albori del nuovo secolo, nella spirale di una drammatica guerra civile. Ma anche tanti altri Paesi hanno potuto mostrare il proprio volto migliore. Come ad esempio la Repubblica Democratica del Congo, per tre settimane tornata unita grazie a una nazionale che dopo tanto tempo è riuscita ad affacciarsi in semifinale tra le grandi del continente. O come Capo Verde, piccolo Stato insulare capace di spingersi fino ai quarti e sconosciuto a molti tifosi europei che hanno seguito la competizione.
Giusto obiettare contro i tanti mali del calcio moderno, caratterizzato da una veloce corsa verso un business non sempre conciliante con i valori dello sport. Ad oggi però, è proprio il calcio forse l’unico grande palcoscenico capace di far vedere il mondo in una chiave diversa rispetto ai disastri odierni. La Coppa è stata una festa non destinata a una fugace distrazione dal presente, ma a una diversa immaginazione del futuro. Con una vasta platea internazionale che ha potuto osservare come, anche in questo continente, un po’ di normalità è possibile.