Prima della guerra russa contro l’Ucraina e la crisi epidemiologica del 2020, la Polonia era accusata dalle maggiori cancellerie europee di inadempienza verso le politiche dell’Unione Europea. Diatribe come quelle tra la corte costituzionale polacca e Bruxelles sancivano la profonda crisi tra quest’ultima e Varsavia. Una crisi paradossalmente ricucita proprio dalla pandemia e dalla guerra russa contro l’Ucraina, che ha imposto al Paese una postura diversa nei confronti dell’intero continente europeo.
La Polonia appare oggi fuoriuscire da una delle pagine più complesse della sua storia recente grazie alla vittoria delle forze di opposizione capitanate da Donald Tusk, già Presidente del Consiglio europeo dal 2014 al 2019. I segnali di un’inversione di rotta circolavano già da mesi all’interno della società polacca, soprattutto tra le fasce più giovani. Quest’ultime hanno dimostrato di essere il vero motore del cambiamento, capaci di unirsi contro l’ormai vecchio strapotere del partito Diritto e Giustizia (PiS).
La Polonia non appare più il monolite della democrazia illiberale, anche se gli ultimi risultati elettorali potrebbero non bastare. Diritto e Giustizia, partito di Jarosław Kaczyński e Mateusz Morawiecki, rimane il più votato dai polacchi ed è uscito sconfitto solo grazie all’unione delle maggiori forze di opposizione, Terza Via e Nuova Sinistra. I cittadini polacchi erano stati anche chiamati a esprimersi ai quattro quesiti referendari voluti proprio dal governo uscente. All’innalzamento dell’età pensionabile, alla possibilità di acquistare proprietà in Polonia da parte di enti stranieri, alla revisione delle politiche di controllo del confine bielorusso, all’accettazione di migranti provenienti dall’Africa e Medio Oriente, circa l’40% dei polacchi hanno sottolineato le ragioni del NO, con percentuali che superano l’80%. Nonostante il referendum non abbia raggiunto il quorum di partecipazione, tale voto rimane pur sempre indicativo.
Donald Tusk dovrà confrontarsi con una forte polarizzazione non solo sui temi di politica nazionale, ma soprattutto su quelli riguardanti la politica estera. Il prossimo esecutivo dovrà ricucire i legami di una società spaccata da un punto di vista generazionale: mentre il governo uscente ha riconfermato la sua presenza tra le generazioni più anziane, le opposizioni hanno registrato uno storico appoggio tra i più giovani. Una simile demarcazione è anche avvenuta a livello territoriale: le periferie e le regioni meno performanti economicamente hanno riconfermato la leadership di Kaczyński e Morawiecki, mentre Varsavia e le altre città volano dell’economia e cultura polacca hanno segnato una forte partecipazione giovanile a favore del blocco dell’opposizione. Non solo Cracovia, ma anche Danzica e Poznan, Wroclaw e Lodz, rimangono gli agglomerati urbani più favorevoli a un riallacciamento delle relazioni con l’Unione Europea, rispetto alle periferie rimaste euroscettiche o quantomeno assai critiche nei confronti di Bruxelles.
I toni della campagna elettorale erano stati caratterizzati da una forte e pericolosa retorica contro la Germania, accusata dei crimini di guerra contro il popolo polacco, compresi i cittadini di origine ebrea, durante il secondo conflitto mondiale. Una critica che i nazionalisti polacchi hanno rivolto non contro la Germania con un suo controverso passato nei confronti della Polonia, ma piuttosto contro ciò che la società tedesca rappresenta oggi agli occhi dei polacchi: una società profondamente multiculturale, aperta all’ingresso di migranti economici e rifugiati, avanguardia nel proporre sempre nuove sfide postmoderne per le giovani generazioni.
La questione migranti insieme alla guerra in Ucraina saranno i due banchi di prova più importanti per il prossimo esecutivo polacco. Nonostante la vittoria, non sarà facile cancellare anni di retorica islamofoba all’interno del Paese e il malcontento crescente per le conseguenze della guerra in Ucraina. Con la vittoria delle opposizioni, Tusk appare ufficializzare la fine del gruppo di Visegrad. Un progetto in realtà già tramontato a causa della posizione ungherese sulla guerra in Ucraina, e soprattutto sui tentennamenti di Viktor Orban nel criticare le politiche di Vladimir Putin in politica estera. Se l’asse Budapest-Varsavia aveva non poco impensierito l’Unione Europea e attratto le simpatie della nuova destra italiana e francese, la vittoria dell’opposizione polacca potrebbe diventare il nuovo modello per le altre opposizioni europee contro le vecchie e nuove democrature.
La Polonia fu il primo Paese a uscire dal satellite sovietico. Una fuoriuscita avvenuta grazie al movimento Solidarnosc degli operai portuali della città di Danzica, la cui lotta per un sindacato autonomo riuscì a coinvolgere milioni di polacchi nelle proteste contro il regime comunista. Solidarnosc fu l’esempio per le tante società civili all’interno del Patto di Varsavia. Oggi, a distanza di decenni, la storia pare ripetersi. Nonostante le dovute differenze storico-politiche, la Polonia dimostra nuovamente di essere un Paese vivo e trainato da un nuovo spirito democratico. Il suo modello di partecipazione politica e civile potrebbe nuovamente essere esportato e copiato all’estero, dall’Ungheria ai Paesi limitrofi, fino alle prossime elezioni europeo della primavera 2024.
Il sole potrebbe ancora risorgere a Est.