È di pochi giorni fa, esattamente del 13 gennaio scorso, la sentenza emessa dal giudice del tribunale di Asti, Giorgio Morando. Una sentenza importante, sentita tanto nella cittadina piemontese quanto a livello nazionale, specie per chi si occupa della violenza sulle donne. Il magistrato doveva esprimersi infatti su uno dei casi più spinosi, relativo alle accuse di violenza sessuale da parte di un ragazzo di 21 anni contro una donna di 37. I fatti risalgono all’agosto del 2020.
Il giudice ha condannato il ragazzo, residente ad Asti, a 3 anni e 8 mesi. La richiesta del Pm era di 4 anni e 8 mesi. Il caso ha suscitato scalpore in quanto la donna, che ha subito violenza, aveva riportato gravi lacerazioni alle parti intime tanto da dover essere operata d’urgenza.
Non solo, ma assieme al ragazzo ha operato un complice che ha coperto l’autore della violenza. Per lui richiesti 2 anni per favoreggiamento, pena sospesa.
Per la vittima la sentenza ha rappresentato la fine di un lungo calvario, iniziato con l’aggressione e la brutale violenza e proseguito poi durante la fase dibattimentale. Per lei, come per qualsiasi persona che subisce violenze, ripercorrere l’accaduto non deve essere stato semplice. Nessuna associazione per i diritti delle donne si è poi presentata come parte civile. A seguirla, passo dopo passo, è stato l’avvocato Jacopo Evangelista: “Si tratta – ha dichiarato – di una vicenda dolorosa che non prevede né vincitori né vinti. Ovviamente nessun risarcimento potrà mai cancellare la sofferenza della mia assistita che sta ancora cercando di ristabilirsi e di riacquistare fiducia nella collettività“.
L’episodio dello stupro di Asti rappresenta una ferita sempre aperta in quello che è il fenomeno della violenza sulle donne. I dati riguardanti gli abusi sulle donne sono allarmanti, nonostante le tante campagne di sensibilizzazione sull’argomento portate avanti nelle scuole e attraverso i media.
Molte donne scelgono di non denunciare perché temono ritorsioni, giudizi negativi da parte della collettività e di non essere adeguatamente sostenute dalle istituzioni.
Ancora oggi lo stupro è uno dei reati più diffusi, usato perfino come abominevole prassi nelle guerre e come strumento di punizione verso le donne considerate troppo “libere” nelle società dove vigono regole ormai anacronistiche.