Alessio Musella è un esperto d’arte, organizzatore di eventi artistici, curatore di mostre e editore di Exit Urban Magazine.
Sensibile al triste fenomeno della violenza sulle donne, Musella ha parlato, ai nostri microfoni, di come l’arte possa essere in qualche modo uno strumento efficace di denuncia.
L’ultimo numero di Exit Urban Magazine, scaricabile online gratuitamente, è interamente dedicato alla violenza contro le donne. Qual è il motivo di questa scelta?
Da sempre sostengo che l’arte abbia anche il compito di raccontare quanto accade nel contemporaneo e, ancor di più, dovrebbe essere in prima fila nel denunciare situazioni gravi, come la guerra; non a caso la copertina di Exit Urban Magazine di Marzo 2022 è stata dedicata a un’opera di Giuseppe Veneziano intitolata “Ras Putin” che rappresenta, appunto, Putin vestito da Napoleone che volge il dito medio all’osservatore.
I femminicidi, purtroppo, scivolano sull’opinione pubblica come la sabbia fra le dita, così dopo pochi giorni tutto scompare. Questa volta ho deciso di dare un segnale forte, dando una doppia copertina. Significativa è l’opera di Felipe Cardenas, che in chiave neo pop rappresenta chiaramente Masha Amini, che è anche la protagonista della quarta di copertina, che poi è di fatto la seconda copertina; in questo caso nessuna opera d’arte, ma solo l’immagine della ragazza che ha perso la vita in quello che chiamo un “omicidio di Stato”.
All’interno di questo numero vi sono solo immagini di opere volutamente senza il titolo, che lascino al lettore il compito di trovare il senso a tutto questo, opere di diversi artisti che rappresentano ognuno a suo modo la sofferenza delle donne.
I soli testi presenti sono mirati a raccontare il perché di questa scelta, a scanso di errate interpretazioni.
I numeri di Exit Urban Magazine sono costantemente riproposti sui social e questo darà la possibilità al messaggio racchiuso in questo numero di novembre di continuare ad essere motivo di riflessioni.
Ringrazio gli artisti presenti su questo numero: Felipe Cardena, Mario Vespasiani, Mario Fontana, Francesca Falli, Thay Mancini, Tina Bellini, Lorenzo Puglisi, Marinella Pucci, Fabrizio Musa, Silvia Salvadori, Ray Morrison alias Raimondo Rossi, Joanna Huxfors, Majid Bita, Mario Cigada, Nicola Stradiotto.
Cosa può fare l’arte per dare un contributo alla lotta contro il femminicidio?
In realtà molto, in pratica sono rimasto negativamente colpito dall’indifferenza di molti artisti che nulla hanno sentito di dover dire o fare contro la violenza sulle donne. In pochi ogni tanto si ricordano del problema quando arrivano date predefinite e scontate, ma non basta, certe situazioni vanno messe in evidenza con costanza.
Ho avuto il piacere di promuovere “Disobedient”, una camicia d’autore realizzata proprio contro il femminicidio dall’artista Thay Mancini e dalla camiceria artigianale Giannetti, presentata al Luxembourg Art Prize 2022.
Noi, come gruppo, saremo sempre pronti a dare la giusta visibilità ad ogni artista che deciderà di dare il suo contributo a questa causa.
Bisogna ricordare che le opere d’arte hanno un forte impatto sull’opinione pubblica se adeguatamente raccontate.
Dunque, secondo il tuo parere, il mondo dell’arte reagisce in modo blando davanti a questa grave forma di violenza che miete in continuazione un gran numero di vittime.
Reagisce in modo troppo blando e predefinito, invece mi piacerebbe che gli artisti considerassero con più passione creativa questi fatti perché la violenza sulle donne esiste da sempre e da sempre è stata minimizzata.
Nel corso della tua attività come curatore di mostre e, in generale, di organizzatore di eventi legati all’arte, oltre a ciò che ci hai raccontato, in quali altre occasioni hai già trattato la violenza contro le donne? Hai già programmato altri eventi o momenti in cui affrontare nuovamente l’argomento?
In passato ho affiancato per un anno l’artista Adele Ceraudo, il suo iter creativo è molto incentrato sulla donna e sulle violenze psicologiche e fisiche che da sempre la vedono protagonista. Ricordo ancora quando in una mostra, dopo aver visionato le opere da esporre, ci fu chiesto espressamente di non esporre la “Donna in Croce” perché troppo forte.
Ovviamente l’abbiamo esposta senza alcun ripensamento, perché proprio in quell’opera c’è racchiusa la violenza più grande che le donne da sempre subiscono, da sempre sono messe in croce, ma vederle soffrire come un Cristo Donna risulta ancora oggi fastidioso per molti e quindi, proprio per questo, è giusto che non venga censurata.
Questo argomento, come penso si sia compreso dall’intervista, per me è molto importante, quindi di sicuro tornerò con costanza a puntare i riflettori contro la violenza sulle donne.
Un sentito grazie va all’artista iraniano Majid Bita che da molti anni vive a Bologna e che con forza ha denunciato quanto sta accadendo nel suo Paese e continua a farlo, nonostante i media nazionali e internazionali siano già passati oltre.
Speriamo che questo numero di Exit possa dare un segnale a tutti i giovani, e non solo, che in questo momento stanno combattendo per un cambiamento: noi ci siamo.