Le ultime elezioni, proprio come quelle del 2018, hanno premiato quei partiti che hanno avuto durante la campagna elettorale un atteggiamento da “opposizione”. Lo si può vedere dal netto successo di Fratelli d’Italia, guidato da Giorgia Meloni, e dalla tenuta del Movimento Cinque Stelle. Fratelli d’Italia in effetti all’opposizione c’è stata durante l’intera legislatura, opponendosi prima al patto tra Lega e Movimento Cinque Stelle, poi al governo giallorosso formato da grillini e Pd, infine all’esecutivo di (quasi) unità nazionale di Mario Draghi.
Il Movimento dal canto suo invece è sempre stato in maggioranza, ma ha contribuito a far cadere il governo Draghi e il capo politico, nonché ex presidente del consiglio, Giuseppe Conte ha impostato la campagna elettorale su una posizione avversa al cammino politico uscente. Una scelta che ha evitato ai grillini di sparire dalla scena. Prima del voto le loro liste erano ampiamente date sotto il 10%, a scrutini completati invece la percentuale ha sforato il 15%.
Bocciato chi è stato al governo
Male invece tutti quei partiti protagonisti dei governi dell’ultima legislatura. Il Pd è al potere, se si escludono i 15 mesi di esperienza del governo gialloverde formato da M5S e Lega, ininterrottamente dal 2013. Il partito non è riuscito a raggiungere nemmeno il 20%, andando sotto le aspettative. La Lega, al governo in due dei tre esecutivi della passate legislatura e trasformatasi in un partito più “istituzionale”, è andato sotto il 10%. L’unica formazione moderata in grado di superare le aspettative è stata Forza Italia, le cui liste però non sono andate oltre l’8%.
Numeri che testimoniano un elemento ben preciso: chi va al governo in Italia ha serie difficoltà a tenere i consensi. Mentre, al contrario, chi sta all’opposizione riesce poi a scalzare gli avversari. Andando a guardare quanto accaduto all’interno del centro-destra ad esempio, Fratelli d’Italia ha di fatto eroso i consensi alla Lega, quest’ultima forse percepita dagli elettori della coalizione come più organica al sistema di potere degli ultimi anni rispetto al partito della Meloni.
Dinamiche rintracciabili anche nelle elezioni del 2018. Il Movimento Cinque Stelle, che nel 2013 aveva rifiutato di formare un governo con il Pd e che è rimasto per cinque anni all’opposizione, è riuscito a raggiungere quattro anni fa il 33%. Una volta poi al potere, prima con la Lega e poi con il Pd, si è dovuto “reinventare” all’opposizione per evitare di scomparire.
Dunque in Italia c’è un problema chiamato governo: la sfiducia degli elettori verso l’attuale sistema partitico, fa sì che il voto si orienti verso la forza di opposizione di turno. La quale però poi è chiamata al difficile compito di governare e di evitare l’erosione della fiducia. Consensi volatili, necessità di mantenere coese le maggioranze parlamentari e un sistema politico complessivamente molto “liquido”, specialmente dal 2013 in poi stanno creando sempre più problemi alla governabilità. Un problema di cui il presidente del consiglio in pectore, Giorgia Meloni, dovrà assolutamente tenere in conto.
La vittoria del centro-destra di quest’anno è molto diversa rispetto a quella del 2001 e del 2008. In quelle due occasioni i governi guidati da Silvio Berlusconi hanno avuto una discreta longevità, considerando la durata media degli esecutivi in era repubblicana. Il sistema politico era diverso, retto da un bipolarismo sì imperfetto ma al tempo stesso in grado di far individuare una netta separazione tra centro-destra e centro-sinistra. Oggi, con almeno tre coalizioni, a cui occorre aggiungere il Movimento Cinque Stelle, capaci di assestarsi in parlamento per chi governa le insidie di una frammentazione sono maggiori. Tra mantenimento del consenso, necessità di dare da subito prime risposte e necessità di tenere coesa la maggioranza, per il centro-destra si apriranno subito sfide non semplici.
Potrebbe essere stato trovato un equilibrio?
In tutto questo però, c’è anche un elemento che potrebbe parzialmente ridimensionare la “maledizione del governo” degli ultimi anni. Il sistema politico italiano ha vissuto una fase di profondo riassestamento, dovuta principalmente alle inquietudini dell’elettorato. Dal 2011 in poi, da quando cioè la crisi economica internazionale ha iniziato a mordere la quotidianità degli italiani, sono emerse nuove forze. Un po’ per protesta, un po’ per tentativi di archiviare le passate stagioni partitiche. La nascita del Movimento Cinque Stelle, lo sgretolamento delle coalizioni, il ridimensionamento elettorale di grandi partiti, sono tutti elementi figli di un decennio piuttosto turbolento culminato poi con la pandemia.
Se è vero da un lato che in questo contesto è stato premiato spesso chi si trovava all’opposizione, è anche vero al tempo stesso che con il voto di domenica l’elettorato ha scelto delle vie più, per così dire, “istituzionali” e “parlamentari”. Si è data fiducia all’unica forza politica rimasta all’opposizione in parlamento, senza sondare o vagliare vie cosiddette “anti sistema”. In una fase così delicata e avara di certezze, forse l’elettorato ha preferito evitare nuovi stravolgimenti e nuovi “esperimenti” politici. Unito al fatto che la forza anti sistema per eccellenza degli ultimi anni, ossia il Movimento Cinque Stelle, è diventata da tempo parte integrante del sistema, in pochi hanno voglia di provare nuove strade. E chi magari vorrebbe provarle, ha preferito restare a casa.
Delle due, l’una. O il prossimo governo sarà vittima della legge non scritta dell’ingovernabilità, oppure potrebbe sfruttare un possibile nuovo equilibrio politico dopo un decennio di riassestamento.