La Germania Est rappresenta un universo lontano eppure tangibile, un simbolo della Guerra Fredda e delle divisioni dell’Europa, ritrovatasi retrocessa da centro a periferia. Sebbene non più esistente come Stato sovrano, è ancora lì, a oltre trent’anni dalla caduta del “Muro di Berlino”. Da un lato causa di tutto ciò è la persistenza di un elevato divario socio-economico con l’Ovest che ha reso immateriale, e non più fisico, il “muro” che divide i Lander orientali dal resto del Paese. Dall’altro, ciò avviene perché il ricordo di quello che fu la Repubblica Democratica Tedesca permane nella popolazione tedesca, al netto di dicotomie e semplificazioni.
Lo stato socialista tedesco-orientale si propose ad alti livelli nel campo dell’industria, della cultura e dello sport, anche (ma non esclusivamente) per l’interesse politico preminente della SED, il partito-guida, alla promozione del prestigio nazionale in un confronto continuo e inesauribile con la Repubblica Federale confinante. Il calcio, in particolare, divenne un campo di battaglia fortemente presidiato dai socialisti dell’Est tedesco e un settore in cui, senza mai trascendere dal principio del dilettantismo di Stato, i rappresentanti della DDR seppero ben performare.
Inizialmente snobbato dal regime nato nel 1949, affascinato invece dal sogno di elevare la Germania Est a superpotenza degli sport olimpici, il calcio riuscì a ritagliarsi uno spazio importante, e risultò oggetto di pesanti ingerenze politiche per il cruciale intervento di Erich Mielke, capo della Stasi – l’apparato di polizia segreta del governo di Berlino Est – nonché presidente della Dynamo Berlino. Vincenzo Paliotto, un narratore sportivo inesauribile nella sua energia e nella sua capacità di raccontare gli intrecci tra calcio e politica, ha raccontato l’epopea del calcio al di là del “Muro” in due saggi, Stasi Football Club (2015) e DDR – La guerra fredda del football (2019), entrambi editi da Urbone Publishing.
I saggi si concentrano in particolar modo sulla rivalità mai sopita tra tedeschi dell’Est e tedeschi dell’Ovest e sulla natura fortemente politica delle sfide tra i club, e le nazionali, dei rispettivi Paesi. Capacità predominante di Paliotto, e abilità che traspare anche dai lavori del suo progetto “L’altro calcio”, è il sapersi vestire con gli abiti del tempo in cui gli eventi narrati sono andati in scena; il racconto evidenzia poi la conoscenza del testimone diretto che, avendo studiato gli avvenimenti, è al tempo stesso a conoscenza dei retroscena.
E così ogni singolo match e ogni singolo episodio raccontato da Paliotto tiene conto sia degli scenari sportivi, che vedevano lo sviluppo di derby tra fratelli divisi, che di quelli politici, soprattutto in relazione alla grande capacità della Stasi di interpretare ogni evento di questo tipo come una missione di intelligence.
Come dichiarato da Paliotto stesso a Bibliocalcio: “Le istituzioni della DDR avevano effettivo timore che quelli dell’ovest potessero influenzare la morale dei cittadini del socialismo reale e che potessero alla lunga sconfessare quelle idee. Durante quelle sfide calcistiche incrociate, i tifosi della DDR venivano controllati dagli agenti della Stasi e dai loro informatori. Anche se spesso si parla delle fughe ad ovest dei tedeschi dell’est, non si parla mai di quelle dei tedeschi dell’ovest verso l’est! Del resto, come sappiamo, la storia viene scritta da chi vince. Ma avrà davvero vinto la Germania Ovest? La caduta del Muro di Berlino ha rappresentato probabilmente un successo momentaneo del capitalismo sul socialismo reale, ma non definitivo”.
Cosa fu il calcio della DDR e perché il regime della SED, alla lunga, vi puntò con tante energie e tanta spinta politica? Per capirlo è necessario raccontare alcuni episodi decisivi della parabola calcistica della “DDR del pallone”, avvenuti nell’anno cruciale per i destini del calcio socialista: il 1974. La prima tappa ci porta a Rotterdam, nella sera dell’8 maggio, che inaugurò i mesi magici del calcio della Germania Est. In quella occasione il piccolo e sottovalutato Magdeburgo alzò al cielo la Coppa delle Coppe sorprendendo e battendo per 2-0 il Milan di Gianni Rivera, campione in carica e accreditato come super favorito dell’evento.
Il Magdeburgo, allenato dal 53enne sassone Heinz Krugel, vinse con una rosa di giovani talenti nati e cresciuti nel contesto sportivo della capitale della Sassonia-Anhalt, cittadina di circa 200mila abitanti, in cui si costituì una squadra fortemente rocciosa, quadrata e capace di tenere testa ad avversari ben più quotati. Tra i talenti del Magdeburgo spiccava un 26enne centrale nel gioco offensivo del team di Krugel, Jurgen Sparwasser. Il suo nome era destinato a restare scolpito nella storia del calcio della DDR e in quello dei rapporti tra le due Germanie.
Un mese dopo, il 22 giugno, uno scherzo del destino volle che al Mondiale organizzato dalla Germania Ovest le rappresentative di Bonn e Berlino Est si ritrovassero ad affrontarsi dopo esser state estratte nello stesso girone. Lo stadio di Amburgo, quel giorno, era gremito in ogni ordine di posto da migliaia di tedeschi che brandivano bandiere identiche, se non fosse per un piccolo emblema al centro che faceva tutta la differenza del mondo.
Sparwasser fu l’autore del gol che portò la Germania Est a sorprendere e battere i futuri campioni del mondo: un successo celebrato dalla propaganda della SED e che, secondo un aneddoto, avrebbe affascinato nella sua abitazione di Cottbus anche una giovane studentessa ventenne, la futura “Cancelliera” Angela Merkel. Spari e il suo Magdeburgo divennero eroi nazionali. Il gol di Sparwasser in patria fu un grande mezzo di propaganda politica e di presunta superiorità della DDR nei confronti dei cugini” dell’ovest, ma al contempo aumentarono anche le pressioni politiche per un’identificazione crescente tra sport e regime. Meno noto dell’epopea del Magdeburgo e del gol di Amburgo è infatti un terzo episodio cruciale per il calcio della Germania Est, che non a caso si verificò nuovamente al di fuori dei confini nazionali, in quello stesso fatidico 1974.
Il Magdeburgo rifiutò, per motivi politici, di disputare la Supercoppa Europea contro i campioni d’Europa del Bayern Monaco, ma nuovamente l’urna fatale rimescolò le carte e decretò negli ottavi di finale della Coppa dei Campioni 1974-1975 lo scontro tra i bavaresi e i sassoni. Il Bayern ebbe la meglio sia all’Ovest (3-2) che all’Est (2-1) sui cugini separati dal “Muro”, con cinque gol realizzati da Gerd Muller. Dopo la sconfitta nella partita d’andata, disputata il 24 ottobre 1974 all’Olympiastadion, a Krugel fu di fatto stoppata la carriera in quanto rifiutò di accettare l’offerta della Stasi, desiderosa di mettere delle microspie nelle macchine dei giocatori del Bayern Monaco per poterli controllare.
«La sua figura – ha raccontato Paliotto – fu riabilitata successivamente, tanto che lo stadio del Magdeburgo porta il suo nome», ma l’episodio testimonia l’onnipervasività politica della Stasi e l’influenza in un calcio fondato su valori che non temiamo di definire “operai” (un gioco compatto, ragionato, da parte di squadre tenaci e capaci di grande resistenza e spirito di sacrificio, composte da dilettanti) ma influenzato da profonde dinamiche di matrice politica.
Questa, in fondo, è tuttora la DDR a oltre trent’anni di distanza dalla sua fine: un rebus avvolto in un enigma, una straordinaria contraddizione da studiare e da comprendere, senza demonizzazioni o semplificazioni di sorta. Un mondo che con i libri di Paliotto è possibile capire nel profondo come sistema complesso, in cui anche il calcio era inquadrato nel progetto di realizzazione del socialismo. Una contraddittoria utopia che appare tanto più distante quanto più il nostro mondo, giorno dopo giorno, si abitua al disincanto.