“Posso calcolare i moti dei corpi celesti, ma non la follia delle persone”, scrisse amareggiato nel 1720 Sir Isaac Newton, dopo una rovinosa crisi seguita allo scoppio della South Sea Bubble. Evento che terremotò il contesto finanziario britannico. Anche il teorizzatore delle leggi sulla gravità, riconosciuto meritoriamente come uno dei più grandi geni scientifici della storia e dei padri della modernità, era caduto vittima dell’eterno ritorno dei cicli finanziari, di un sistema che da secoli va riproponendosi con manifestazioni e magnitudini diverse ma con dinamiche simili. Tutt’altro che icona razionalista, Newton aveva una passione estremamente spiccata per l’alchimia e l’esoterismo. Anche per questo, forse, trovò naturale puntare sulla leva garantita dai promotori della South Sea Company, fondata nel 1711 dal governo britannico per rafforzare con un partenariato tra settore pubblico e investitori privati la solidità del debito pubblico britannico e caduta vittima di procedure di insider trading.
La finanza non è affatto razionale, i mercati sono da sempre umorali, il fattore umano e dunque l’elemento irrazionale (possa essere l’euforia o il panico) predominano. Nella storia dei mercati finanziari questo dato è una costante e questo è stato studiato da pochi autori con la stessa costanza di Charles Kindleberger (1910-2003), accademico statunitense che ha consegnato agli studi di settore la Bibbia in materia, Manias, Panic and Crashes, il saggio pubblicato per la prima volta nel 1978 e costantemente aggiornato fino alla sua morte in cui il tema della ciclicità è evidenziato in continuazione.
Mania, panico, schianto: tre parole condensano il ciclo dell’attività di un nuovo prodotto, di un nuovo asset finanziario. Che si parli dei titoli legati ai bulbi di tulpiano nell’Olanda seicentesca, del debito pubblico dell’Inghilterra impegnata nella Guerra di successione spagnola del Settecento, dei titoli delle compagnie ferroviarie europee dell’Ottocento, dei debiti dei Paesi asiatici del Novecento, dei mutui subprime dei primi Anni Duemila o dei titoli tecnologici odierni ogni bolla parte cavalcata dall’euforia, da aspettative continue di guadagno da parte degli operatori a cui si sommano scommesse finanziarie, puntate crescenti e un effetto domino guidato dai market-mover, i pochi investitori istituzionali che guidano l’andamento di un settore. Kindleberger nota nei suoi scritti la ciclica ripetizione di un effetto di aspettativa indotto dal movimento di grande masse di investitori sul “parco dei buoi” dei piccoli retailer, fenomeni destinato a ripetersi al cambiare delle epoche e dei contesti. Il caso GameStop del 2021 insegna.
Cosa succede poi? Che le aspettative si scontrano, prima o poi, con la realtà. La finanza tende al gigantismo, all’inflazione cosmica, alla tracotanza. La hybris è tanto più rovinosa quanto maggiori sono le cifre in ballo. Quando azioni o titoli cominciano a calare nel prezzo, a non garantire i rendimenti aspettati, a sgonfiarsi, quando i collaterali di un prodotto finanziario evaporano (come i mutui che erano sottostante ai titoli scambiati negli Usa di inizio millennio), quando il mercato è interessato dai primi fallimenti parte il panico.
Ultimo, fondamentale step è lo schianto. L’impennata di euforia si fa ondata di panico. La corsa agli acquisti si trasforma in ondata di vendite. La salita è lineare e rettilinea, la discesa una strada bagnata e piena di curve. Fallimenti e dinamiche di malaffare costellano questo processo. Le borse si contraggono, le crisi travolgono l’economia reale. Il 1929 e il 2007-2008 sono lì a dimostrarcelo. Quando una bolla finanziaria è percepita come tale, la sua esplosione ne é la logica conseguenza, la rovina degli investitori più sprovveduti e conseguenze sistemiche a cascata il corollario. E che si parli di boccioli di tulipani o frazioni di prestiti per l’acquisto di case trasformati in titoli, gli investitori si accorgono, col senno di poi, di come farsi trascinare dall’euforia non è mai una scelta strategicamente saggia.
Kindleberger ha avuto il pregio di tracciare un affresco storico dell’evoluzione della finanza speculativa, ovvero del doppio contrapposto a una finanza virtuosa in grado di fornire capitali e competenze per lo sviluppo delle nazioni e dei popoli. Come un Giano Bifronte, questa duplice natura è ineludibile nel tessuto finanziario di ogni nazione, specie in quello moderno. I regolatori intervenuti dopo la Grande Depressione, come l’amministrazione Roosevelt negli Usa (con il Glass-Steagall Act del 1933) e il geniale Alberto Beneduce in Italia (promotore della Legge Bancaria del 1936) capirono anzitempo la necessità di dare una corretta separazione tra le attività commerciali e quelle più rischiose delle banche; ma non potevano prevedere le insidie legate allo sdoganamento del “pozzo nero” dei derivati speculativi, del trading ad alta frequenza, della mentalità individualista e rischiosa del neoliberismo finanziario sull’onda lunga della deregulation degli Anni Ottanta e Novanta.
La grande tragedia della finanza contemporanea è la memoria corta. Più vicine tra loro sono le bolle, più grande appare l’effetto rimozione degli investitori. Negli ultimi trent’anni abbiamo avuto, nell’ordine, dapprima il tracollo dei Paesi ex comunisti dell’Europa Orientale; in seguito, crisi delle “tigri asiatiche”, l’ascesa e il tracollo del Long Term Capital Management tra il 1997 e il 1998, a cui ha fatto seguito la bolla del digitiale di inizio millennio. E questo è stato solo il preludio del “big bang”, la crisi dei subprime del 2007-2008, a cui é seguita la Grande Recessione. Da circa dieci anni diverse bolle vanno gonfiandosi sulla scia del denaro facile delle banche centrali e dell’aumento dell’espansione monetaria di cui il Covid ha consentito un’ulteriore iniezione. Denaro in larga parte andato ad alimentare il gioco della speculazione borsistica, che in questi casi si è rivolto ai giganti dell’economia immateriale o dei settori emergenti. Nella roulette russa di Wall Street, tra Tesla, Apple e nuovi entranti, come la piattaforma di bitcoin Coinbase, cova oggi la nuova bolla finanziaria.
Il crollo di aprile dopo i due anni di grande sardana finanziaria è il presagio di un nuovo crac nel pieno della “Grande Tempesta” russo-ucraina? Ancora presto a dirsi. Ma come ricorda Kindleberger “per gli storici ciascun evento è unico. Invece gli economisti sostengono che vi sono regolarità nei dati e particolari eventi che sembrano sollecitare risposte simili”. E se dopo la fine dell’euforia entrerà in scena il panico, assisteremo all’eterno ritorno della tendenza della finanza a creare le sue crisi. Aggravata dallo sdoppiamento tra finanza ed economia reale accentuata nell’era della pandemia. Servirebbe un Kindleberger per leggere le crisi del presente, servirebbe rimettere mano a un testo incisivo e approfondito per capire la filigrana di ogni crisi: da bolla nasce bolla, la finanza spesso è cattiva studiosa del suo passato. E per chi pretende di saltare sul carro del vincitore delle scommesse finanziarie l’azzardo può rivelarsi rovinoso.